Vai al contenuto

La Storia del Teatro “Mercurio”

La tradizione del Teatro di burattini Mercurio s’innesta in questo lungo trasfigurare artistico iniziato secoli prima; esso, infatti, trova i natali nella Napoli di un periodo storico piuttosto travagliato: gli anni ’30 del secolo scorso. A quell’epoca Ciro Mercurio e il suo amico Vincenzo, allietavano le piazze partenopee con i loro spettacoli, l’uno nel ruolo di macchiettista, l’altro in quello di giocoliere, rifacendosi quindi alla sopracitata tradizione dei cerretani; ma proprio in questo periodo inizia la collaborazione con la famiglia Ferraiolo detentrice di un teatro di burattini di fama nazionale tanto che, poco prima della pausa forzata causata dalla Grande Guerra, realizzavano spettacoli anche per il re, come testimonia una locandina datata al 1914 che annuncia lo spettacolo prettamente familiare nell’ambito del programma dato alla presenza di S.A.R. il Principe Aimone di Savoia. L’opera rappresentata in quell’occasione era il Pulcinella condannato a morte, una tragicommedia in due atti e sei quadri che fa tutt’oggi parte del repertorio del Teatro Mercurio, seppur raramente rappresentata per due ordini di ragioni: da un lato la durata complessiva di ottanta minuti, dall’altro la tematica forte che prevede la dipartita per decapitazione del boia preposto all’esecuzione di Pulcinella e che la rende per questo poco adatta a un pubblico infantile; l’opera s’ispira infatti alla leggenda popolare veneziana che si ambienta nella città lagunare nel 1507, trasposta dapprima in un dramma teatrale in cinque atti realizzato nel 1846 da Francesco Dall’Ongaro e poi anche in un film datato al 1963 e diretto da Duccio Tessari; la storia è quella di un clamoroso errore giudiziario che vede la condanna a morte, con relativa decapitazione in Piazza San Marco, del panettiere Fasiol, accusato d’un omicidio perché trovato in possesso dell’arma del delitto abbandonata per la strada dal vero assassino e da questi semplicemente raccolta. Ma proprio nella decapitazione e nella testa che finisce in una cesta fuori dal teatro non è difficile riscontrare un richiamo alla Morte, la quale, rileva Kott nel suo libro Divorare gli dei, nell’opera dei pupi siciliana che tra i teatri per marionette è quello che conserva più antiche tradizioni […] è ancora uno scheletro di legno armato di falce [e] dedica molto tempo e molta attenzione al tagliare la testa ai peccatori; dopo di che la testa cade dalla scena con un gran baccano e rotola sino alla prima fila di platea. E bisogna sottolineare come l’iconografia della Morte come un teschio ligneo sia, ad oggi, presente anche in alcune rappresentazioni che animano il repertorio del Teatro Mercurio come Lo scongiuro dei diavoli in cui compare come gregaria del diavolo, evocato da Pulcinella e Felice Sciosciammocca – di cui si dirà ampiamente più avanti – con lo scopo di diventare ricchi; l’opera si conclude con una bella morale per grandi e piccini: qualsiasi tesoro è ben poca cosa rispetto all’amicizia. La Morte poi, compare, anche ne La danza degli spettri, che nel titolo richiama il dramma ibseniano del 1907, ma presenta tutt’altra trama: essa s’incentra infatti sull’amore per Pulcinella da parte della fanciulla-Morte, la quale deve fare di tutto per conquistarlo; lo spettacolo si connota soprattutto per l’effetto scenico – potremmo dire speciale – di sicuro impatto, garantito dalla cosiddetta morte a tre teste, che nel momento della danza cambia connotati ad ogni giravolta: prima la fanciulla, poi il teschio e infine il diavolo. Ma torniamo alla nascita del Teatro Mercurio: bisogna ricordare, come precedentemente accennato, che il momento storico in cui questa si verifica è decisamente difficile anche per chi opera nel campo artistico; siamo infatti in piena epoca fascista e, sebbene in Italia non si tocchino mai le vette di prevaricazione da parte del governo che si registrano in Germania, anche qui Mussolini opera un attento programma di controllo dei mezzi di comunicazione e lo fa con il metodo del bastone e della carota: da un lato sovvenzionamenti per le rappresentazioni che piacevano al regime, dall’altro la censura, anche preventiva operata da Zurlo; anche gli spettacoli di marionette e burattini non ne erano immuni: nella fattispecie, venne loro vietato di occuparsi della guerra poiché essi erano ritenuti un settore troppo frivolo per trattare l’argomento. E dal momento che le opere che vediamo oggi sono le medesime dell’esordio e quindi possiamo toccarne con mano le caratteristiche peculiari, non è difficile immaginare quanto il regime, ostile a qualsiasi forma d’espressione dialettale al fine di preservare la lingua italiana, potesse censurare con particolare accanimento le rappresentazioni poste in essere dall’accoppiata Mercurio-Ferraiolo. D’altra parte gli spettacoli del Teatro Mercurio hanno inequivocabilmente delle radici illustri e non solo afferenti alla tradizione napoletana; si è già precedentemente fatto riferimento a uno dei personaggi che compare più spesso nelle commedie che ne compongono il repertorio, quel Felice Sciosciammocca maschera/non maschera che fu proprio Scarpetta a portare alla fama. A quanto si può risalire consultando il sito dedicato al grande drammaturgo partenopeo, il ruolo gli fu affidato da Petito, storico interprete della maschera di Pulcinella, quando lo notò, quattordicenne, sulle tavole del palcoscenico del San Carlino dove recitava nella commedia Cuntiente e guaje. Appropriatosi della maschera, Scarpetta operò quindi con lei la progressiva sostituzione di quella di Pulcinella che, a quanto riferisce Tiziana Carpinelli, da piccolo gli faceva molta paura; nell’ambito del teatro scarpettiano Felice Sciosciammocca esordisce nel 1887, protagonista di Miseria e nobiltà, commedia oggi presente anche nel repertorio del Teatro Mercurio e che fu trasposta al cinema da Mario Mattoli nel 1954, con Totò nei panni proprio di Sciosciammocca. Al pari del già citato Capitan Fracassa francese, il Sciosciammocca partenopeo potrebbe essere definito una maschera di seconda generazione: come le maschere della Commedia dell’Arte, infatti, continua ad essere un personaggio alquanto tipizzato, stereotipato attraverso quanto si può evincere già dal nome che, nel dialetto napoletano implica qualcuno che respira con la bocca e per traslato che resta sempre a bocca aperta, si stupisce di tutto. Potremmo quindi affermare che, sostituendo il Pulcinella con Sciosciammocca, Scarpetta si sia in qualche modo posto in continuità con quella riforma teatrale di cui Goldoni si era fatto promotore già nella metà del XVIII secolo; un primo tentativo si era riscontrato già nel 1736, quando il drammaturgo veneziano aveva tentato, col suo Don Giovanni Tenorio o sia il dissoluto, non solo di limare tutte le inverosimiglianze de L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra, ma anche di eliminare dalla storia la presenza delle maschere eredi della Commedia dell’Arte; in questo caso il Caterinone che, nella citazione all’opera fatta da Scola nel suo film Il viaggio di Capitan Fracassa, è interpretata proprio da Pulcinella-Troisi. Il secondo, più moderato tentativo di riformare il teatro lo si riscontra quando Goldoni scrive, per la compagnia Medebach, di cui fa parte dal 1748, Il teatro comico opera-manifesto che esordisce sul palcoscenico del veneziano teatro Sant’Angelo nel 1751. Qui, alla domanda posta da Eugenio al capocomico Orazio sull’opportunità di togliere completamente le maschere dalle commedie che inscenano, quest’ultimo – spesso portavoce del punto di vista goldoniano – afferma con decisione che l’eliminazione delle maschere dev’essere graduale perché il pubblico ancora le gradisce e se non le trovasse più sul palco smetterebbe di andare a teatro; tant’è che, nel 1867, quando Scarpetta viene scritturato da Petito, Sciosciammocca è ancora soltanto una spalla di Pulcinella. E tale resta, chiaramente, anche nell’ambito delle commedie che i Mercurio e i Ferraiolo iniziarono a portare in scena sulle piazze di Napoli negli anni ’30 e di cui ancora nel 2021 si può godere, con immutato piacere, grazie al lavoro incessante dei nipoti di quel Ciro Mercurio citato in precedenza; ma del resto non è assente neppure il riferimento al primo Goldoni, quello che, prima di decidere una riforma teatrale, scriveva testi per un teatro popolato ancora di maschere, di cui resta fulgido esempio quel Servitore di due padroni, scritto in canovaccio nel 1745 e presente anch’esso nel repertorio dei Mercurio, pur con la differenza che ad esserne protagonista non è più Arlecchino, bensì Pulcinella. Come si è detto, la storia del Teatro Mercurio che anima tutt’oggi la piazza saprese, inizia negli anni ’30 in una Napoli comunque attraversata da un fortissimo fermento culturale: morto da poco colui che aveva portato in auge il Felice Sciosciammocca, sulla scena teatrale si stavano imponendo con sempre maggiore vigore i figli mai riconosciuti di quest’ultimo, Eduardo, Peppino e Titina che, conclusa da poco l’esperienza nella compagnia Ribalta Gaia, dov’erano affiancati tra gli altri dall’attore Carlo Pisacane, poi celebre in ambito cinematografico per le sue interpretazioni in Paisà (1946) di Rossellini e ne L’armata Brancaleone (1966) di Monicelli, ne avevano fondato una propria: il Teatro Umoristico I De Filippo; e proprio ribadendo il cognome materno, i tre intesero affrancarsi da quel teatro scarpettiano, ora nelle mani del fratello Vincenzo, che avrebbero di lì a poco finito col fagocitare. È solo al termine della guerra, in un momento di impegnatissima ricostruzione anche artistica, che il Teatro Mercurio approda per la prima volta a Sapri; siamo nel 1948: nel felice momento di sospensione di qualsivoglia tipo di censura l’Italia attraversa la feconda stagione cinematografica del Neorealismo, mentre nella Napoli della resistenza partigiana era stato ancora Eduardo De Filippo, tre anni prima, a trionfare con Napoli Milionaria, resoconto delle miserie attraversate dalla città già durante il conflitto, che il drammaturgo realizzò in brevissimo tempo per portarla a un esordio un po’ in sordina e per certi versi casuale (gli fu lasciato il San Carlo per poche ore pomeridiane) il 15 marzo del 1945. Sapri, che aveva assistito ai peggiori orrori della guerra, incluso il bombardamento della stazione e zone limitrofe che nell’agosto del ’43 provocò decine di morti, per il suo status di piccolo paese di provincia al confine con la Basilicata, non era stato interessato da alcun particolare fermento culturale (non si registrano tracce documentarie della sosta dei Carri di Tespi, l’iniziativa fascista itinerante che aveva per scopo quello di portare il teatro nei piccoli paesi); in quegli anni però si registra una fioritura di rilievo che porta la cittadina del Golfo ad allontanarsi dal clima di profonda arretratezza che imperversa nel Sud, di cui l’esito principale è sicuramente l’apertura del cineteatro Ferrari, recentemente tornato in attività. In questo clima l’arrivo del teatro di burattini non può non segnare una nuova opportunità culturale per gli abitanti della cittadina, tanto più se vista alla luce di un repertorio che, come abbiamo visto, comprende anche opere importanti della drammaturgia; il successo è enorme tanto che Sapri diventa una tappa fissa dei Mercurio, i quali, negli anni iniziano a dividersi le piazze con i Ferraiolo e tra loro; tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 Roberto Mercurio, figlio di Ciro, acquisisce a sua volta la licenza e si vede assegnata, tra le altre, proprio la piazza saprese: inizia così la storia del teatro dei burattini Fratelli Mercurio destinata ad animare i sogni di molte generazioni di bambini non solo della cittadina, ma anche di altre parti della Campania e d’Italia, in un’epoca in cui Sapri diveniva sempre più ambita meta turistica. Il servizio offerto dai fratelli Mercurio, tanto più in questo contesto, è dunque di notevole pregio culturale e antropologico: non è difficile immaginare come, negli anni dell’immediato dopoguerra, un teatro di burattini fosse un qualcosa di assolutamente inedito per i bambini sapresi che vedevano nell’arrivo dei Mercurio l’occasione più propizia per avvicinarsi al mondo del teatro non solo tradizionale, ma anche più recente; occasione che è proseguita con pari efficacia anche per i coetanei dei decenni successivi, sempre più spinti verso il sistema comunicativo televisivo. Ad oggi gli spettacoli che hanno per protagonista Pulcinella sono ciò che si potrebbe definire in maniera piuttosto evidente una macchina del tempo che riporta gli spettatori a un’epoca artistica più artigianale di scenografie bidimensionali dipinte su stoffa e che fa toccare con mano un passato che, come abbiamo visto, va dalle leggende rinascimentali alla Commedia dell’Arte, dal teatro goldoniano – riformista o meno – agli esiti più recenti e luminosi del teatro napoletano di Petito e Scarpetta; un vero e proprio bagaglio di conoscenze chiuso nel mondo di Pulcinella e chi lo anima che, oggi, è Antonio Mercurio, figlio di Roberto e nipote di Ciro, il quale negli anni ha sempre più spostato la propria attenzione su Sapri fino a trasferirvisi stabilmente: il teatro Mercurio è quindi col tempo diventata presenza sempre più ferma nell’immaginario collettivo della cittadina, tanto di chi è diventato grande con quegli spettacoli, quanto di chi ci sta crescendo ora, con la certezza che tutto il patrimonio culturale che da esso viene divulgato difficilmente possa giungere da altri mezzi e canali; c’è una storia secolare che Ciro Mercurio ha iniziato a tenere viva e che oggi tiene viva Antonio, una storia vicina al nostro cuore e alla nostra identità e che per proseguire ha bisogno di piazze e di cura e che fa del teatro di burattini un mezzo comunicativo importante non solo in supporto al bagaglio culturale dei bambini, ma anche degli adulti. L’impegno di Antonio, infatti, non si esaurisce nell’organizzazione e della rappresentazione delle commedie che avviene quotidianamente d’estate e in particolari occasioni di festa durante i mesi inverali, ma prosegue con il restauro annuale dei burattini, ormai antichi, e nella ricerca di artigiani qualificati che possano produrne degli altri da aggiungere alla dotazione del teatro stesso; alacre lavoro di manutenzione, del resto, richiede anche la preservazione degli audio degli spettacoli stessi – ad oggi ritradotti in un idioma più recente – per adattarsi ai cambiamenti tecnologici dei supporti atti alla lettura. In un’epoca in cui si presta sempre maggiore attenzione agli imprinting culturali dispensati già nell’infanzia di cui un sintomo non può non essere il Museo del Giocattolo con sede a Milano Cormano e a Santo Stefano Lodigiano, il Teatro Mercurio assurge a ruolo museale, facendosi custode di tracce di un passato ormai lontano, ma quanto mai vivo, a cominciare dagli stessi burattini, passando per i fondali dipinti, per giungere alle registrazioni effettuate da Ciro ai tempi della cooperazione con i Ferraiolo in un napoletano arcaico che va preservato e fatto conoscere. Risulta di immediata evidenza, dunque, come la qualifica di teatro stabile non possa che essere un gran pregio per la cittadina del Golfo di Policastro, tanto più che consentirebbe a un teatro già comunque ben radicato nel territorio – come si evidenzia dalla partecipazione alle numerose manifestazioni a scopo benefico organizzate da associazioni locali impegnate nel sociale – di diventare ancora di più parte integrante del tessuto culturale saprese, dando nuove opportunità di rilancio economico per i giovani attraverso l’organizzazione di laboratori volti all’apprendimento delle tecniche di movimento delle marionette e della loro stessa costruzione; non più solo occasione di svago per i tanti bambini che amano Pulcinella e per gli adulti che vogliono riprendere contatto con una lunga tradizione antropologica, il teatro Mercurio potrebbe in questo modo diventare promotore e volano di nuove prospettive lavorative che mirino a rinverdire il settore dell’artigianato e di un’arte, quella della Commedia dell’Arte e del teatro napoletano, che ancora oggi il mondo ci invidia; perché il futuro può ripartire dal passato.

Associazione Culturale
“I Burattini di Antonio Mercurio”

© 2022 - 2024 I Burattini di Antonio Mercurio - All Rights Reserved. | Realizzato da Carlo Sorrentino

Privacy Policy